L’ascesa verticale dei Golden State Warriors, guidati in panchina da Steve Kerr ed in campo da Stephen Curry e Klay Thompson, a metà del decennio scorso, ha rappresentato un’enorme rivoluzione all’interno della NBA. Proprio Stephen Curry infatti, con il suo range di tiro pressochè illimitato, abbinato alla facilità di prendere, e segnare, triple dal palleggio, ha spinto l’intera NBA a riconsiderare il ruolo del tiro del tiro da 3 punti. Esso infatti è passato da semplice soluzione sugli scarichi a vero e proprio fulcro del gioco di ogni singola franchigia. Quando però il tiro da 3 ancora non godeva di questa importanza gli specialisti erano una ristretta cerchia e tra di loro pochissimi si sono consacrati come vere proprie superstar. Ray Allen è sicuramente uno di loro.
Il college
Dopo aver finito il liceo alla Hillcrest High School nel 1993 Ray Allen viene reclutato da Karl Hobbs, assistente allenatore degli Huskies dell’università del Connecticut. Allen trascorrerà 3 stagioni a UConn, consacrandosi come uno dei migliori specialisti nel tiro da 3 punti, fondamentale nel quale stabilirà anche il record per un giocatore degli Huskies alla sua ultima stagione, quella 1995-96, con 115 triple segnate. Alla fine di quell’annata Ray Allen si dichiara eleggibile per il draft. A dimostrazione di quanto fatto in maglia Huskies dal 2018 la sua canotta numero 34 campeggia sul soffitto del palazzetto dell’università del Connecticut.
Il draft
Come precedentemente fatto parlando di Michael Jordan, ma anche citato raccontando di Kobe Bryant, occorre anche qui fermarsi per raccontare di un altro draft estremamente denso di talento. È il draft in cui alla numero 1 i Philadelphia 76ers scelgono Allen Iverson, alla 4 i Bucks scelgono Stephon Marbury e dalla 13 alla 15 arrivano in ordine Kobe Bryant, Pedrag Stojakovic (altro ottimo tiratore) e Steve Nash, rispettivamente scelti da Lakers, Kings e Suns. Ray Allen viene scelto alla numero 5 dai Minnesota Timberwolves, che però lo scambiano immediatamente coi Milwaukee Bucks, ricevendo in cambio Stephon Marbury, selezionato una chiamata prima.
Gli anni a Milwaukee
In Wisconsin Allen trova una squadra giovane, nella quale è un ottimo gregario al fianco delle 2 stelle Glenn Robinson e Vin Baker. Sugar Ray (questo il suo soprannome) esordisce in NBA il primo Novembre nella vittoria contro i Philadelphia 76ers, segnando 14 punti, con 2 su 3 da dietro l’arco, e recuperando 3 palloni, a dimostrazione del fatto che stiamo parlando di un ottimo difensore e (specialmente nei suoi primi anni di carriera) di un giocatore con clamorosi mezzi atletici.
La stagione da rookie si chiude con 13.4 punti di media, conditi da un acuto da 32 punti, il 25 marzo del 1997 contro i Suns, ed il 39% abbondante da 3. Cifre che gli valgono l’inclusione nel secondo quintetto matricole, ma che non bastano a portare i Bucks ai Playoff.
La stagione successiva vede Allen con più responsabilità, complici l’addio di Vin Baker e l’infortunio di Glenn Robisnon. I suoi punti diventano 19.5 a partita, è il secondo miglior realizzatore dei suoi dopo Robinson (21 ppg, ma con sole 56 partite giocate) e nell’ultima uscita stagionale contro i Timberwolves ritocca a 40 il suo career high, segnando 6 triple sui 10 tentate. I Bucks però resteranno ancora senza playoff.
La parentesi attoriale
Oltre a “Sugar Ray” un altro soprannome ha accompagnato Ray Allen per tutta la carriera: Jesus Shuttelworth.
Questo perché nel 1998 Ray Allen interpretò proprio un personaggio con quel nome nel film di Spike Lee “He Got Game”, che racconta la storia di un condannato per omicidio, al quale il direttore del carcere promette una forte riduzione di pena qualora convincesse il figlio, giovane promessa del basket, ed interpretato proprio da Ray Allen, a scegliere un’università di cui lo stesso direttore è grande tifoso.
I primi playoff
L’esordio in post season arriva nella stagione 1998-99, chiusa da Allen a 17.1 punti a partita, e combinazione contrappone Ray ad un altro eccelso tiratore, già consacratosi come superstar: Reggie Miller. Saranno proprio i Pacers del numero 31 ad imporsi per 3-0, nonostante i 22 punti di media di Sugar Ray.
Il 1999-2000 è l’anno della prima chiamata all’All Star Game, a coronamento di una stagione da 22.6 punti a partita ed un ottimo 42% dall’arco su 5 tentativi, oltre alla vittoria al 3 Point Contest. Ai Playoff è ancora Bucks–Pacers, ancora Allen contro Miller; questa volta Milwaukee è più combattiva, ma cede comunque 3-2 ad Indiana in una gara 5 persa al fotofinish e chiusa da Ray con un misero 6/21 dal campo.
Le apparizioni ai playoff si interrompono però nella stagione 2000-01, nella quale Allen però ritoccherà il proprio career high per ben 2 volte: prima il 26 Febbraio segnandone 42 a Philadelphia e poi alla quart’ultima stagionale, il 12 aprile, realizzandone 43 sempre ai 76ers, stavolta in casa. Disputa inoltre l’All Star Game per la seconda volta consecutiva e a fine stagione verrà incluso per la prima volta in uno dei quintetti all NBA: il terzo. Diventeranno 3 le apparizioni di fila alla partita delle stelle nella stagione successiva, che vede Sugar Ray ritoccare ulteriormente il proprio career high coi 47 rifilati agli Hornets.
Il trasferimento a Seattle
La stagione 2002-03 parte sotto altri auspici, ma prima gli infortuni e poi una serie di litigi portano la dirigenza dei Bucks a scambiare prima Glenn Robison agli Hawks e poi anche Ray Allen, per Desmond Mason e Gary Payoton, con i Seattle SuperSonics.
Nella prima mezza stagione giocata all’ombra dello Space Needle Allen realizzerà ben 24.5 punti di media, ma comunque i ragazzi di coach McMillan mancheranno l’accesso ai playoff.
Situazione che si ripeterà anche nella prima annata intera di Allen a Seattle: la 2003-04, chiusa da Sugar Ray con 23.5 punti, 5.1 rimbalzi e 4.8 assist e ritrovando anche la convoca all’All Star Game.
Per ritrovare Allen in postseason bisogna attendere il 2004-05, stagione da 23.9 punti di media con il 37.6% da 3, che lo vede anche figurare nel secondo quintetto All-NBA. Al primo turno ci sono i Sacramento Kings, superati con un agevole 4-1 grazie ad un Ray Allen da 45 punti in gara 4 e 30, due giorni dopo, nella decisiva gara 5. Al secondo turno ci sono gli Spurs di Duncan, Parker e Ginobili, che si imporranno 4-2 ed andranno poi a vincere il titolo.
La definitiva consacrazione
La stagione successiva non da continuità a quanto visto: da una parte Ray Allen è nel pieno della sua maturità cestistica e chiude la stagione per la prima volta in carriera oltre i 25 punti, con un ottimo 41% da 3, ma da contraltare il record dei SuperSonics dice 35-47 e quindi niente playoff.
la stagione 2006-07 è, a livello realizzativo, la migliore della carriera per Allen, che segna 26.5 punti a partita, e portando a 54 il proprio career high il 12 Gennaio 2007 contro i Jazz, la seconda miglior prestazione all time di un giocatore dei Seattle SuperSonics. Poco dopo però subirà un’infortunio alla caviglia e salterà tutto il resto della stagione, chiusa dai Sonics con sole 31 vittorie, non sufficienti per garantirsi l’accesso ai playoff.
È dunque più che mai evidente che le esigenze di Allen e dei Sonics siano quantomai diverse: da una parte c’è un giocatore di 31 anni che sta disputando le migliori stagioni della carriera e dall’altra una squadra che non può garantirgli un contesto competitivo il cui giocare. Si opta così per la separazione, avvenuta durante il draft del 2007.
I Boston Celtics
Ad aggiudicarsi le prestazioni di Ray Allen saranno i Boston Celtics, in una trade che vede il prodotto di UConn e Glen Davis, scelta numero 35 di quel draft, approdare nel Massachusetts e Wally Szczerbiak, Delonte West e Jeff Green, scelto alla 5 al draft, fare il percorso inverso. Poco dopo arriverà ai Celtics anche Kevin Garnett, formando con Paul Pierce un vero e proprio big three; adesso Allen è nella squadra giusta per vincere.
I nuovi Celtics così formatisi si presentano ai playoff dopo una stagione da 66 vittorie. Allen contribuisce con 17.4 punti e l’immancabile 39% abbondante da 3, un abbassamento fisiologico delle cifre dovuto alla presenza di 3 superstar.
Anche nei playoff il contributo di Ray è maggiore difensivamente che offensivamente e i Celtics viaggiano a vele spiegate: 4-3 agli Hawks, poi 4-3 ai Cavs di LeBron James ed infine 4-2 ai Pistons per guadagnarsi l’accesso alle Finals. Qui ci sono i rivali storici dei Celtics: i Los Angeles Lakers, del duo Bryant–Gasol. A Ray tocca il compito più ingrato di tutti: marcare uno scorer letale come The Black Mamba, cosa che limita molto il numero 20 nell’altra metà campo, ciononostante nella decisiva gara 6 sarà proprio un Allen da 26 punti e 7/9 da 3 a consegnare ai Celtics la vittoria che vale il titolo.
La ricerca del bis
La stagione 2008-09 vede i Celtics chiudere con 62 vittorie ed Allen secondo miglior marcatore dei suoi con 18.1 punti a partita. Al primo turno di playoff ci sono i Chicago Bulls, a cui Allen ne segna 30 in gara 3 ed addirittura 51 in gara 6, con i Celtics che passano per 4-3 andando a sfidare gli Orlando Magic, dai quali però saranno sorprendentemente sconfitti.
Con 16.3 punti Allen è il secondo miglior marcatore dei Celtics anche l’anno dopo, sempre dietro a Paul Pierce. Gli uomini di Doc Rivers guadagnano l’accesso ai playoff vincendo 50 partite. Nella postseason superano prima gli Heat per 4-1, poi i Cavs per 4-2 ed infine i Magic con lo stesso risultato, vendicando l’eliminazione dell’anno precedente. Alle finals ci sono ancora i Los Angeles Lakers, a Ray tocca lo stesso compito di 2 anni prima: cercare di limitare Kobe Bryant, che però in questa serie è letteralmente immarcabile e porterà i gialloviola alla vittoria per 4-3.
Gli ultimi anni a Boston
La stagione 2010-11 vede la formazione di un nuovo big three, quello dei Miami Heat, dove Dwayne Wade viene raggiunto a South Beach da LeBron James e Chris Bosh. Con The King che dichiarerà esplicitamente di voler porre fine al dominio dei Celtics.
Nella Eastern Conference i Celtics, con 56 vittorie, chiudono dietro Bulls (62) ed appunto Heat (58), con Ray Allen che si conferma secondo miglior realizzatore dei suoi con 16.5 punti a partita e ritrova l’All Star Game, per l’ultima volta in carriera, dopo un anno di assenza. Ai playoff i Celtics spazzano via 4-0 i Knicks, anche grazie ai 32 di Allen in gara 3, ma si arrendono poi per 4-1 ai Miami Heat.
L’annata successiva vede sole 66 partite giocate a causa del lockout. Allen è secondo a Pierce e Garnett per punti segnati, ma il 45.3% da 3 punti è la miglior percentuale della carriera. I Celtics trovano ancora una volta i playoff, ma ben 5 squadre hanno un record migliore del loro. Nonostante questo Boston supera prima gli Hawks per 4-2 e poi i 76ers per 4-3, per arrivare in finale di conference contro i Miami Heat, che però si imporranno ancora, per 4,3, andando poi a vincere il titolo.
Il finale di carriera a Miami
Dopo essere diventato free agent alla fine dell’ultima stagione Allen sceglie di firmare per i Miami Heat, scelta che gli attirerà le antipatie dei suoi 2 ex compagni Pierce e Garnett. Proprio contro i Celtics Allen segnerà 19 punti all’esordio nella stagione 2012-13. In questa squadra il ruolo di Sugar Ray è decisamente diverso: non più un terzo violino, ma un veterano che deve fare da gregario di lusso. A fine stagione è l’unico in doppia cifra di media oltre ai big three, in una stagione da 66 vittorie. Ai playoff gli Heat spazzano via 4-0 i Bucks, ai quali Ray Allen riserva 2 partite da 20 punti, poi 4-1 i Bulls ed infine 4-3 i Pacers, andando ad affrontare gli Spurs alle Finals.
La serie tra Spurs ed Heat è estremamente equilibrata: la truppa di Popovich fa subito il colpaccio in trasferta vincendo gara 1 per 92-88, ma LeBron e compagni con una solida prestazione collettiva rimettono le cose in parità prima delle 2 partite in Texas. Qui grazie ad una gara 3 da 27 punti di Danny Green gli Spurs allungano sul 2-1, ripresi immediatamente dai 33 di LeBron James in gara 4, è però Tony Parker a regalare ai suoi il vantaggio con 26 punti in gara 5.
La firma sul secondo titolo
Si torna a Miami con gli Heat con le spalle al muro ed una partita all’insegna dell’equilibrio, alla quale gli Spurs sembrano dare lo strattone decisivo sul 94-89 con un tiro libero realizzato da Manu Ginobili a 28 secondi dalla fine. Spoelstra chiama time out e disegna un gioco per James, che però sbaglia la tripla, Mike Miller però prende il rimbalzo e pesca nuovamente LeBron, che stavolta segna per il 95-92 con 20 secondi sul cronometro.
A sua volta Popovich chiama timeout e sull’azione successiva gli Heat mandando in lunetta Kawhi Leonard, che potrebbe chiuderla con un 2/2, ma segna soltanto il secondo. Con 19 secondi rimanenti gli Heat rimettono in gioco il pallone con Mario Chalmers, che supera la metà campo e serve LeBron da dietro l’arco, liberato da un blocco di Bosh, mancano 8 secondi, il pallone però sbatte sul primo ferro, ma il rimbalzo è preda dello stesso numero 1, che con 5 secondi sul cronometro pesca nell’angolo destro Ray Allen, che si sta già preparando per scoccare la tripla. Il tiro schiaffeggia la retina e vale il pareggio a 95 mandando la partita all’overtime, dove gli Heat vinceranno per 103 a 100.
Grazie ai 37 punti segnati da LeBron James gli Heat vinceranno, per 94-88, anche la successiva gara 7, prendendosi così il secondo titolo consecutivo e regalando ad Allen il secondo della propria carriera.
L’ultima stagione
L’annata 2013-14 è la prima che vede Ray Allen sotto i 10 punti di media (9.6), gli Heat però sono una corazzata e si qualificano comunque ai playoff con una stagione da 54 vittorie. Qui eliminano prima gli Charlotte Hornets per 4-0, poi i Brooklyn Nets per 4-1 ed infine gli Indiana Pacers per 4-2, guadagnandosi così le Finals, dove ci sono ancora i San Antonio Spurs. Questa volta però il finale è diverso e vede gli uomini di coach Popovich imporsi per 4-1.
Al termine di quella stagione Allen dirà addio ai Miami Heat, diventando free agent, ma non riuscendo in estate a trovare alcun contratto e decidendo così di volersi concentrare per ritornare in campo nella stagione 2015-16, durante la quale non troverà però nuovamente alcun contratto. All’inizio dell‘annata successiva svolgerà dei workout con Celtics e Bucks, due delle sue vecchie squadre, salvo poi annunciare il proprio ritiro il 1o Novembre del 2016.
L’eredità
Gli screzi avuti con gli ex compagni ai tempi dei Celtics, in particolare Pierce e Garnett, seguiti al passaggio di Allen ai Miami Heat, squadra costruita a detta di LeBron James proprio per fermare i Celtics, fanno si che il suo numero 20 non figuri tra quelli appesi sul soffitto del Garden, anche se qualche segno di riavvicinamento c’è stato, proprio in occasione della cerimonia del ritiro del numero dello stesso Garnett, che ha proprio indicato Allen quasi a suggerire che possa essere il prossimo. Destino diverso è toccato invece alla numero 34 degli Huskies di UConn, ritirata, come già detto, nel 2018.
Ray Allen lascia la lega come leader all time per triple segnate in una stagione (269 nel 2005-06) e in carriera (2973), entrambi superati poi da Stephen Curry, ma sopratutto venendo considerato come il miglior tiratore ad aver mai calcato i campi della NBA. Oggi questo titolo è unanimemente riconosciuto al numero 30 degli Warriors; ma ciò che rende Ray Allen diverso è l’essere stato uno dei pochi, pochissimi grandi tiratori ad essersi distinti come star, in una lega in cui gli attacchi avevano una dimensione molto più interna rispetto ad oggi.
Quello che però bisogna ricordare di questo giocatore è la sua versatilità: per quanto sin dalla sua gioventù sia stato un tiratore fuori dal comune, capacità affinata con l’avanzare della carriera ed il naturale calo dal punto di vista fisico, Ray Allen era un difensore di grandissimo livello, spesso destinato, come nelle Finals 2008 e 2010 con Bryant, a marcare il miglior esterno avversario, ma cosa più stupefacente anche uno schiacciatore d’élite, dotato di mezzi atletici fuori dalla norma. Insomma, non un semplice tiratore, ma molto molto di più.