Per gli appassionati di basket universitario il mese di Marzo equivale a quello delle NBA Finals. Infatti in questo periodo si sfidano per il titolo nazionale tutte le università più forti, quelle della cosiddetta Division I, dove militano una grandissima parte dei prospetti che verranno selezionati nel prossimo draft.

Prospetti che hanno anche l’occasione di scalare posizioni e mettersi anche in mostra agli occhi del grande pubblico, perchè a volte queste partite hanno più pubblico, sia presente, che in TV, rispetto a quelle della NBA. A prova di ciò nelle 100 trasmissioni più viste in America nel 2022 figurano 2 partite di NCAA e nessuna di NBA.

A contribuire a questo c’è sicuramente la grande imprevedibilità che caratterizza la fase finale del torneo: per esempio i Duke Blue Devils, tra le squadre più titolate dell’intera competizione con 8 trionfi, hanno alzato il trofeo per l’ultima volta nel 2015 e da allora hanno avuto tra le proprie fila prima Brandon Ingram, poi Jayson Tatum ed ancora il trio Zion Williamson – RJ Barrett – Cameron Reddish ed infine Paolo Banchero senza riuscire a tornare al trionfo, perdendo, ad esempio, abbastanza clamorosamente, lo scorso anno contro i Kansas Jayhawks in finale.

Per questa imprevedibilità il torneo prende appunto il nome di March Madness e quale migliore occasione di questa per parlare di uno dei migliori giocatori di college basketball di sempre. Di chi si tratta? Di Christian Laettner.

Gli inizi

Christian Laettner nasce il 17 Agosto 1969 ad Angola, nello stato di New York, da una famiglia di lontane origini polacche, e subisce durante tutta l’infanzia le angherie del fratello maggiore Christopher che spesso diventano veri e propri atti di bullismo. Christian frequenta le scuole superiori presso un istituto privato: la Nichols School, cosa che costa ai genitori diversi sacrifici, inoltre lo stesso Christian lavora facendo le pulizie all’interno dell’istituto per abbattere i costi. Laettner però gioca anche molto bene a pallacanestro, al punto di battere il record di punti della squadra dell’istituto, segnando oltre 2000 punti e togliendolo dalle mani del compagno Ron Torgalski. Inoltre guida anche la squadra alla vittoria di 2 campionati statali.

L’università

A muoversi per reclutare Christian Laettner è una figura leggendaria all’interno della pallacanestro universitaria: Mike Krzyzewky, per tutti “Coach K”, allenatore dei Blue Devils, squadra dell’Università di Duke. Il primo anno però non sembra ripagare le aspettative, realizza infatti solo 8.9 punti e 4.7 rimbalzi a partita, trascorrendo però sul parquet poco meno di 17 minuti di media. Duke però approda comunque alle Final 4, perdendo però il primo scontro contro i Seton Hall Pirates, ma chiuderà la rassegna comparendo già nei quintetti All-Region

Nell’anno da sophomore però il suo minutaggio cresce fino a sfiorare i 30 minuti, portandolo a consacrasi come uno dei primi lunghi in grado di aprire il campo con il tiro da fuori. Chiude infatti con 16.3 punti e 9.6 rimbalzi ed un ottimo 50% da 3 punti, portando già i Blue Devils a giocarsi la partita per il titolo contro gli UNLV Rebels, che però, guidati da Larry Johnson, si porteranno a casa il trofeo

I titoli universitari

Dal terzo anno Laettner è a tutti gli effetti la stella della squadra di Coach K, toccando quota 19.8 punti e 8.7 rimbalzi. Duke approda ancora alle Final 4, qui in semifinale va in scena il rematch della finale dell’anno prima contro UNLV. Laettner ne segna 28, aggiunge 7 rimbalzi e porta i suoi alla vittoria per 78-76. La sfida finale è contro i Kansas Jayhawks: Laettner si ferma a 18, ma tanto basta a portare a Duke il primo titolo nazionale della sua storia e guadagnarsi il titolo di Most Outstanding Player.

L’ultimo anno di college vede il nativo dello stato di New York alzare le proprie medie realizzative fino a 21.5 punti a partita, portando ancora Duke alle Final Four di NCAA con una prestazione “for the ages” nella sfida che vale la vittoria della East Division, realizzando 31 punti con 10/10 dal campo e il decisivo canestro della vittoria, arrivato sulla sirena con un tiro in svitamento dalla linea del tiro libero.

Alle Final Four Duke supera Indiana per 81-78, nonostante i soli 8 punti messi a referto dal suo numero 32, che però si rifarà segnandone 19 due giorni più tardi nel 71-51 con cui i Blue Devils superano i Michigan Wolverines diventando la prima università a riuscire nel repeat dopo UCLA tra il 1972 ed il 1973 (a coronamento di una striscia di vittorie iniziata nel 1968).

L’oro olimpico con il Dream Team

Come tutti sappiamo le olimpiadi del 1992 sono quelle della svolta per Team USA, che dopo la campagna fallimentare di Seoul 1988, culminata col trionfo degli acerrimi rivali sovietici, decidono di mettere in campo finalmente i professionisti. Team USA si presenta così a Barcellona con una corazzata composta dal meglio che la NBA potesse offrire in quel momento: Charles Barkley, Larry Bird, Clyde Drexler, Patrick Ewing, Magic Johnson, Michael Jordan, Karl Malone, Chris Mullin, Scottie Pippen, David Robinson e John Stockton.

Questa selezione stravincerà le olimpiadi, passando alla storia come Dream Team. Tuttavia manca ancora un nome da aggiungere a quella lista, in quanto per dare una sorta di continuità con il passato si sceglie di portare comunque un giocatore ancora non professionista come parte di quella selezione e ad essere scelto sarà proprio Christian Laettner.

L’approdo in NBA: i Minnesota Timberwolves

Tra il titolo universitario con Duke e la medaglia d’oro conquistata col Dream Team c’è però il draft del 1992, nel quale Laettner viene scelto con la terza chiamata assoluta, dietro Shaquille O’Neal e Alonzo Mourning, dai Minnesota Timberwolves, con i quali debutterà con soli 8 punti e 7 rimbalzi nella sconfitta contro i Boston Celtics il 6 Novembre dello stesso anno. A fine stagione avrà totalizzato 18.2 punti ed 8.7 rimbalzi a partita, guadagnandosi la chiamata nel primo quintetto matricole.

La stagione 1993-94 vede Laettner toccare già il suo massimo di assist in carriera: 4.4 a partita, uniti a 16.8 punti e 8.6 rimbalzi, con i Timberwolves che però ottengono il secondo peggior record della lega. Situazione che si ripeterà anche nell’annata successiva, chiusa dall’ex Blue Devils con 16.3 punti e 7.6 rimbalzi. Al draft del 1996 i Timberwolves selezioneranno con la quinta scelta un’altra ala grande: Kevin Garnett. Dopo solo mezza stagione decidono così di sacrificare Laettner per dare spazio al loro rookie.

Gli Atlanta Hawks

Laettner approda così agli Atlanta Hawks insieme al compagno Sean Rooks, con Spud Webb ed Andrew Lang a fare il percorso inverso. Nelle 30 partite disputate quell’anno in Georgia Laettner tiene medie di 14.2 punti e 7.9 rimbalzi, però, viste le 46 vittorie ottenute dagli Hawks disputerà i playoff per la prima volta in carriera. Esordisce nella competizione segnando 14 punti ai Pacers, in una serie in cui toccherà quota 24 in gara 3, con gli Hawks che si imporranno 3-2 andando ad affrontare gli Orlando Magic al secondo turno. Qui, nonostante gara 2 da 20 punti e gara 3 da ben 26 di Laettner saranno Shaq e compagni a passare per 4-1.

Nella stagione 1996-97 Laettner torna sui livelli tenuti a Minneapolis, realizzando 18.1 punti ed 8.8 rimbalzi di media a partita, cifre che gli valgono l’unica convocazione all’All Star Game della carriera. Inoltre il 26 Dicembre, nella sfida tra i suoi Hawks ed i Bulls di Michael Jordan realizza ben 37 punti (accompagnati da 14 rimbalzi): il suo career high. Gli Hawks approdano nuovamente ai playoff, dove affrontano i Detroit Pistons superandoli per 3-2, con Laettner che realizza 23 punti nella decisiva gara 5. Al secondo turno ci sono proprio i Bulls, che liquidano facilmente gli Hawks per 4-1, nonostante 21 punti e 12 rimbalzi di Laettner in gara 4 e 23 punti in gara 5.

L’annata successiva vede invece un deciso calo delle cifre da parte del numero 32, che si ferma a soli 13.8 punti e 6.6 rimbalzi di media, in una stagione in cui gli Hawks disputano ancora i playoff, ma si fermano al primo turno, sconfitti 3-1 dagli Charlotte Hornets.

I Detroit Pistons

La stagione 1998-99 è ricordata per le sole 50 partite disputate a causa del lockout. Proprio complice questo accadimento Laettner testa il mercato da free agent, salvo poi lesionarsi il tendine d’Achille nell’ottobre 1998 durante un allenamento presso l’università di Duke. Questo infortunio lo terrà lontano dal campo fino a marzo, quando esordirà con la nuova maglia: quella dei Detroit Pistons. Nelle sole 17 partite giocate in quell’annata raccoglierà soltanto 7.6 punti e 3.4 rimbalzi di media, subendo un’eliminazione al primo turno di playoff proprio contro la sua ex squadra: gli Atlanta Hawks.

Se già prima dell’infortunio si era ormai capito che in NBA non avremmo mai visto il lungo tiratore devastante che ha fatto le fortune dei Duke Blue Devils l’infortunio al tendine d’Achille fa precipitare ulteriormente le prestazioni di Laettner, che anche nella prima stagione completa con la maglia dei Pistons chiuderà con soli 12.2 punti e 6.7 rimbalzi, uniti ad un’altra eliminazione al primo turno di playoff, stavolta per 3-0, contro i Miami Heat, in una serie in cui Laettner non è stato capace di toccare la doppia cifra in nessuna partita.

Tra Dallas e Washington

Nell’offseason 2000 Laettner lascia Detroit per approdare ai Dallas Mavericks. L’avventura in Texas durerà solo 53 partite, dopo le quali viene scambiato, insieme a Courtney Alexander, Hubert Davis, Etan Thomas e Loy Vaught, agli Washington Wizards in cambio di Calvin Booth, Obinna Ekezie e Juwan Howard. Le medie stagionali dicono 9.7 punti e 4.7 rimbalzi a partita, con gli Wizards che, vincendo sole 19 partite, totalizzeranno il peggior record della Eastern Conference.

La stagione 2001-02 vede le cifre di Laettner sprofondare ulteriormente fino a 7.1 punti e 5.7 rimbalzi a partita, con i WIzards che toccano quota 37 vittorie, non ancora abbastanza per fare i playoff. Risultato analogo per gli Wizards sarà quello della stagione 2002-03, con Laettner che migliora leggermente le proprie medie fino a 8.3 punti e 6.6 rimbalzi, però sarà anche l’annata in cui salterà 5 partite a causa di una sospensione per uso di marijuana. Miglioramento che però non avrà continuità nella stagione successiva, chiusa con 5.8 punti e 4.8 rimbalzi di media a partita e con sole 48 partite disputate ed i Wizards ancora fuori dai playoff.

Il finale di carriera a Miami

https://m.youtube.com/watch?v=ckMomXaqkBE

La stagione 2004-05 vede Laettner approdare da free agent ai Miami Heat, dove ricopre per tutta la stagione il ruolo di riserva, non partendo in quintetto in nessuna delle 49 partite disputate, nelle quali segna 5.3 punti, raccogliendo 2.7 rimbalzi di media. In Florida Laettner ritrova un giocatore con cui ha battagliato nell’ultimo anno di college e la cui carriera, ahimè, è decollata molto più della sua: Shaquille O’Neal.

Miami però è una squadra decisamente competitiva, guidata da un Dwayne Wade in rampa di lancio e dal già citato Shaquille O’Neal, e si qualifica per i playoff. Gli Heat superano prima i Nets per 4-1 e poi gli Wizards per 4-0, ma si devono arrendere ai Pistons campioni in carica per 4-3. L’apporto di Laettner è quasi nullo: mai in doppia cifra nella competizione, non giocando neppure un minuto in gara 7 contro i Pistons.

Laettner annuncia così la propria volontà di ritirarsi dalla pallacanestro, anche a causa dei continui infortuni che hanno tormentato la sua carriera da dopo la rottura del tendine d’Achille.

L’odio ingiustificato

Bisogna prima di tutto smontare un mito parlando di Christian Laettner, un mito che ne fa uno dei giocatori più odiati di sempre: l’immaginario collettivo creato dalla narrativa di quegli anni infatti collocava in lui moltissimi stereotipi giudicati come negativi dagli appassionati della pallacanestro.

Innanzitutto era un giocatore bianco in uno sport praticato, specie ad alto livello, principalmente da afroamericani, che vedevano in questo una possibilità di rivalsa dai comportamenti razzisti subiti e quindi l’immaginario comune vedeva proprio gli afroamericani umiliare i bianchi sul campo da basket (come già citato parlando di ciò che Vernon Maxwell disse a Drazen Petrovic).

In secondo luogo anche la scelta dell’università ha contribuito a questo mito: Duke per tutti infatti è l’università riservata solamente ai bianchi altolocati, bigotta e conservatrice, contrariamente, per esempio, agli eterni rivali di North Carolina.

Per ultimo, a contribuire a questo costrutto, è stato un falso mito sull’estrazione sociale dello stesso Laettner, dipinto come il classico ragazzo di famiglia benestante a cui il padre mantiene gli studi. Come abbiamo visto non c’è niente di più falso, in quanto già ai tempi del liceo lo stesso Laettner lavorava pur di alleggerire il costo della retta per i genitori, che peraltro, oltre a non essere benestanti, vantano anche origini dell’est Europa.


L’eredità

Non è propriamente corretto parlare di eredità ripercorrendo la carriera NBA di Christian Laettner. Lo stesso non si può dire della sua carriera universitaria, nella quale vanta ben 2 trionfi con i Duke Blue Devils (tra l’altro i primi 2 per l’ateneo della Carolina del Nord), oltre ai titoli di Most Outstanding Player nel 1991 e di National College Player of the Year nel 1992. Vanta inoltre il record per punti segnati (407) e partite giocate (23) alle Final Four di NCAA, oltre ad essere uno dei soli 4 giocatori ad avervi partecipato per 4 volte. Per tutto questo la sua maglia numero 32 dei Blue Devils campeggia sul soffitto del palazzetto dell’università legata indissolubilmente al suo nome.

A tutto questo non ha fatto però seguito una carriera NBA all’altezza: Laettner entra in NBA infatti con la nomea di essere uno dei migliori giocatori di college basketball di sempre, riponendo in lui grandi aspettative, che non è mai riuscito a rispettare, anche a causa del grave infortunio subito nel 1998, prima del quale le sue cifre, pur non stratosferiche erano comunque di tutto rispetto.

Ahimè Christian Laettner non è il solo giocatore che al college sembrava destinato ad un futuro luminoso, ma che, per un motivo o per l’altro, non è riuscito a rispettare le aspettative, ma visto che siamo in periodo di NCAA Final Four non c’è miglior occasione per celebrare uno dei migliori giocatori di sempre nel basket universitario.

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