C’è una linea di demarcazione, valida per ogni sport, che distingue grandi dai grandissimi. Non basta essere ricordati per le gesta sul campo, serve qualcosa in più: bisogna legare la propria immagine ad un gesto che anche chi non segue un determinato sport possa associare alla propria figura. Per fare un esempio anche chi non ha mai seguito la boxe conosce Mohammed Ali, perchè? Per l’importanza che hanno avuto le sue prese di posizione al fianco di Martin Luther King nella lotta contro la segregazione razziale.
Ecco, il nome di Michael Jordan non è da legarsi ad una determinata causa politica o sociale, ma quando pensi alla pallacanestro pensi a Michael Jordan, perchè negli anni ‘90, con la NBA in piena espansione lui ne era il volto di punta e perchè è stato il primo a creare intorno alla sua immagine più di un semplice marchio, quasi un vero e proprio culto.
Il liceo e l’università
Michael Jordan nasce a Brooklyn, nello stato di New York il 17 Febbraio del 1963, ma trascorrerà l’infanzia e l’adolescenza in North Carolina poichè i genitori vi si trasferiranno poco dopo la sua nascita.
Nei due anni successivi Jordan non riuscirà a portare al titolo il proprio liceo, nonostante una media di quasi 25 punti a partita. Riuscirà però a guadagnarsi l’invito al McDonald’s All American: la partita tra i migliori prospetti liceali della nazione, nella quale stabilirà il record per punti segnati (30), con 6 recuperi e 4 assist.
Al liceo inizierà a praticare ben 3 sport: il football americano, il baseball ed appunto il basket. Sarà popi costretto ad abbandonare il football dopo un infortunio ed il baseball, in cui giocava come lanciatore, per la mancanza di forza fisica, dedicandosi così a tempo pieno alla pallacanestro. Anche con la palla a spicchi però non è tutto rose e fiori: infatti Jordan viene inizialmente scartato dalla prima squadra per via della sua altezza e verrà inserito solo dopo essere cresciuto fino a superare i 190 cm all’inizio del quarto anno.
Gli anni a North Carolina
Nonostante offerte decisamente più prestigiose Jordan sceglie di rimanere “a casa” per frequentare il college optando per North Carolina. Qui, a dividere il campo con lui troverà altri 2 futuri giocatori NBA come Sam Perkins, ma sopratutto James Worthy. I Tar Heels con questo trio arrivano alle finali nazionali portando a casa il titolo grazie al tiro decisivo segnato per l’appunto da Michael Jordan.
La stagione successiva è quella della consacrazione, complice anche la partenza di Worthy (che verrà selezionato dai Lakers con la prima scelta assoluta nel 1982): le medie di Jordan salgono a quasi 22 punti a partita, ma il cammino di North Carolina si interrompe soltanto alle finali regionali.
Nella stagione 1983-84 arrivano a UNC altri 2 futuri (ottimi) giocatori NBA: Kenny Smith e Brad Daugherty; i Tar Heels sembrano a tutti gli effetti la squadra da battere, ma la NCAA è il regno degli upset ed infatti UNC perde contro Indiana in una partita in cui Jordan segnerà solo 13 punti.
Alla fine di quella stagione, dopo aver collezionato ben 3 premi: il Naismith College Player of the Year, il John R. Wooden Award e l’Adolph Rupp Trophy, nel 1984 Jordan prende la decisione di dichiararsi eleggibile per il draft.
Prima di approdare in NBA però Michael Jordan vincerà il primo oro olimpico, in quella stessa estate a Los Angles, insieme a 2 futuri hall of famer come Chris Mullin e Patrick Ewing, anche loro impegnati nel campionato universitario, poichè gli USA apriranno le porte della nazionale di pallacanestro ai professionisti solo dalle olimpiadi del 1992.
Il draft
La cosiddetta “draft class 1984” merita una menzione a parte visto l’enorme talento che la contraddistingue e che la rende, insieme a quelle del 1996 e del 2003, la migliore di sempre. Alla numero 1 i Rockets scelgono Hakeem (allora “Akeem”) Olajuwon, uno dei migliori centri di sempre, nonchè detentore del record all time di stoppate; Jordan va ai Bulls alla 3, alla numero 5 i 76ers scelgono Charles Barkley ed infine alla 16 i Jazz, con un’autentica steal, selezionano John Stockton: detentore dei record all time per maggior numero di assist e recuperi, nonché uno dei migliori, forse il miglior, playmaker di sempre.
I primi anni in NBA
All’esordio in NBA, il 26 ottobre del 1984, Jordan segna soltanto 16 punti, ma non serve aspettare molto perchè dimostri di cosa è capace: saranno 37 appena 2 partite dopo ai Bucks e 45 agli Spurs alla nona partita in NBA. A fine anno vincerà il premio di rookie of the year con una stagione da 28.2, 6.5 assist, 5.9 rimbalzi e 2.4 recuperi. Porterà i Bulls ai playoff, dove però saranno i Bucks ad imporsi al primo turno.
“It’s just God disguised as Michael Jordan”
L’anno seguente Jordan subisce un infortunio che lo terrà fuori per quasi tutta la stagione, rientrerà soltanto per le ultime 16 partite permettendo ai Bulls di qualificarsi per i playoff. Qui si trovano davanti i Boston Celtics, che vinceranno per 3-0 passando il turno, ma la gara 2, del 20 Aprile 1986, passerà comunque sulla storia: Jordan al Boston Garden segnerà 63 punti, record all time ai playoff. Il commento di Larry Bird, stella di quei Celtics, è quanto di meglio si possa dire per riassumere quella prestazione: “It’s just God disguised as Michael Jordan”. “Penso sia semplicemente Dio travestito da Michael Jordan.”
La stagione da 3000 punti
Ormai Jordan, al suo terzo anno nella lega è già una stella a tutti gli effetti. Al draft i Bulls, tramite una scelta dei Knicks, selezioneranno Scottie Pippen, che formerà un leggendario duo con his airness. Dal canto suo MJ scrive un altro record: 8 partite sopra i 50 punti e 37 sopra i 40: 37.1 punti di media a partita, 3042 punti segnati: solo Wilt Chamberlain aveva fatto altrettanto. Ai playoff però saranno ancora i Celtics ad eliminare i Bulls 3-0 al primo turno.
La rivalità coi Pistons.
La stagione 1987-88 vede il primo riconoscimento personale per Jordan: con una stagione da 35 punti (miglior scorer), 5.5 rimbalzi e 5.9 assist viene eletto MVP, titolo al quale accoppia anche il DPOY. Ai playoff i Bulls superano 3-2 i Cavs al primo turno (con 50 e 55 di MJ nelle prime 2 gare) e si trovano davanti i Detroit Pistons dei “Bad Boys”: Isiah Tomas, Joe Dumars, Dennis Rodman e Bill Laimbeer.
Le Jordan Rules
Dopo averne subiti 59 da Jordan in regular season coach Chuck Daly, per evitare il ripetersi di quella partita, mette a punto le cosiddette “Jordan Rules”: un sistema difensivo che mira a costringere MJ a sudarsi ogni singolo canestro con mezzi leciti, come raddoppi sistematici, oppure un po’ meno leciti utilizzando contatti che spesso andavano oltre il consentito, in un regolamento che, rispetto a quello odierno, già tutelava molto meno gli attaccanti. I Pistons vinceranno la serie per 4-1, ma sarà solo il primo atto di una rivalità che segnerà i successivi anni,
La stagione successiva Jordan si conferma miglior scorer con 32.5 punti a partita, i Bulls ai playoff superano 3-2 i Cavs ( con 44, 50 e ancora 44 punti di Jordan nelle ultime 3 partite) con il tiro decisivo di Jordan, consegnato alla storia come “The Shot” e 4-2 i Knicks, trovandosi nuovamente davanti i Detroit Pistons, che si portano a casa, per 4-2, anche il secondo atto di questa sfida, nonostante i 46 punti di Jordan in gara 4.
Arriva anche il quarto titolo consecutivo di scoring champ per MJ, con 33.6 punti a partita. Bulls e Pistons sono separati soltanto da 4 vittorie in regular season ed infatti si affrontano nelle finali di Conference: con i suoi sotto 2-0 Jordan riprende la serie con 2 partite da 42 e 47 punti, ma ai Pistons basta tenere il fattore campo e tanto faranno: Detroit vince 4-3 e va alle Finals.
I primi titoli
L’annata 1990-91 vede abbattersi sulla lega un uragano con la 23 dei Bulls: miglior marcatore (31.5 ppg), MVP e Bulls con il miglior record ad Est (61-21).
I playoff sono una cavalcata trionfale: 3-0 ai Knicks, 4-1 ai 76ers e un secco 4-0 ai Pistons per vendicare 3 eliminazioni consecutive ed approdare alle Finals. Qui l’esordio di Jordan dice 36 punti, ma Lakers vincitori in quel di Chicago; sarà però l’unica vittoria gialloviola in queste Finals: i Bulls diventano così campioni NBA per la prima volta nella loro storia e Jordan vince anche il premio di Finals MVP.
Per la sesta volta, nella stagione 1991-92, Jordan è il miglior marcatore (30.1 ppg) e per la terza è MVP ed i Bulls sono la terza squadra di sempre a vincere 67 partite di stagione regolare e si guadagnano l’accesso alle Finals superando Heat (3-0, con 56 di MJ in gara 2), Knicks (4-3) e Cavs (4-2). Tra i Bulls ed il bis ci sono i Portland Trail Blazers: Jordan apre la serie con 39 e 10 assist in gara 1 e nuovamente 39, con 11 assist in gara 2, per poi ripetersi con 46 punti in gara 5 sul 2-2 nella serie portando l’inerzia dalla parte dei suoi, che vinceranno per 4-2, con Jordan nuovamente MVP delle Finals.
L’oro olimpico ed il three peat
In estate per Jordan arriva anche il secondo oro olimpico, a Barcellona con il cosiddetto Dream Team: la prima squadra di giocatori professionisti messa in campo dagli Stati Uniti, che poteva contare campioni come Magic Johnson, Bird, Barkley, Stockton, Malone e molti altri, tra cui Scottie Pippen, compagno di Jordan ai Bulls. Qui la durante un allenamento Jordan e Magic si sono sfidati scegliendo altri 4 compagni per stabilire chi dovesse gestire i possessi, con la vittoria andata al giocatore dei Bulls, in quella che secondo i pochi che hanno avuto la fortuna di assistervi è la miglior partita di pallacanestro di sempre.
Nella stagione 1992-93 Jordan eguaglia Wilt Chamberlain vincendo per la settima volta consecutiva il titolo di miglior marcatore con 32.6 punti di media a partita. Ai playoff i Bulls battono gli Hawks 3-0 con Jordan che apre la serie con 35 punti e la chiude con 39; una settimana dopo ne segnerà 43 ai Cavs in gara 1, con i Bulls che si imporranno per 4-0. Ai Knicks ne segnerà addirittura 54 in gara 4 per pareggiare la serie, chiusa poi con 2 altre 2 vittorie consecutive dei Bulls. Alle Finals ci sono i Phoenix Suns di Charles Barkley. Jordan mette a referto 4 partite consecutive da 40 punti da gara 2 a gara 5, con addirittura 55 in gara 4. I Bulls vinceranno la serie per 4-2 completando il three peat con Jordan ancora Finals MVP.
Il primo ritiro
Il 22 Agosto del 1993 la vita di Jordan fu scossa da una notizia drammatica: il padre venne ucciso da 2 rapinatori che gli rubarono la macchina mentre si era fermato per riposarsi di ritorno dal funerale di un amico. Per Michael il padre James ha avuto un ruolo fondamentale, come confermato da lui stesso a più riprese, perchè, pur essendo stato molto duro nei suoi confronti è stata la causa della determinazione che ha spinto Michael a migliorarsi sempre di più in qualsiasi cosa facesse.
Scosso da questa perdita Michael Jordan annuncia così il 6 ottobre dello stesso anno il suo ritiro dalla pallacanestro. Anche su questo ci sono alcune voci, alimentate dal fatto che qualche mese prima fu visto in un casinò legato alla mafia italo-americana, che raccontavano di un debito di gioco accumulato dallo stesso Jordan nei confronti di figure poco raccomandabili e di un allontanamento orchestrato da David Stern, allora commissioner NBA, per proteggere l’immagine della lega, che in quegli anni era in grande crescita, ma il commissioner NBA negò tutto a più riprese.
Dopo una breve parentesi nel baseball però il 19 Marzo del 1995 Jordan decise di tornare in campo, scegliendo di vestire il 45, suo numero preferito, invece dell’iconico 23, e seppur in condizioni fisiche non ideali a causa del lungo stop segnò comunque 55 punti al Madison Square Garden appena 9 giorni dopo e tenendo una media di quasi 27 punti nelle 17 partite disputate. Il nuovo esordio ai playoff parla invece di 48 punti segnati agli Charlotte Hornets, ma i Bulls non vanno oltre il secondo turno, perso 4-2 contro gli Orlando Magic.
Il secondo three peat
la prima stagione intera dopo il nuovo ritiro fa capire che Jordan ha già eliminati le ruggini dovute al lungo stop: 30.5 punti, 6.4 rimbalzi e 4.3 assist di media a partita, quarto MVP e ottavo titolo di miglior marcatore. Oltre a tutto questo guida i Bulls al record all time di vittorie in una stagione: 72. Ai playoff gli uomini di Phil Jackson superano prima Miami per 3-0, poi i Knicks, con 44 di Jordan per aprire la serie e 46 in gara 4, per 4-1 ed infine Jordan si prende la rivincita sentenziando con 45 punti il 4-0 sugli Orlando Magic. A frapporsi tra Jordan ed il titolo ci sono i Seattle Super Sonics di Shawn Kemp e sopratutto “The Glove” Gary Payton, ma nonostante la difesa più che competente di quest’ultimi su MJ i Bulls vinceranno la serie per 4-2 e Jordan, seppur con cifre più basse è MVP delle Finals per la quarta volta.
Sfiorano uno storico back to back di stagioni da 70 vittorie i Bulls, che si fermano a 69-13, con MJ scoring champion per la nona volta. Ai playoff Jordan ne segna 55 in gara 2 nel 3-0 sui Bullets ed inaugura con 34 la serie contro gli Hawks e con 37 quella contro gli Heat, battuti entrambi 4-1. Saranno i Jazz a sfidare i Bulls nella serie finale. Jordan apre gara 1 con 31 punti e si ripete con 38 in gara 2 prima di spostarsi a Salt Lake City, dove i Jazz riportano la serie sul 2-2 vincendo le prime due partite in casa
The Flu Game
La cosa più strabiliante avrà luogo qualche giorno dopo: è il 10 Giugno, vigilia di gara 5, a Salt Lake City, con la serie sul 2-2, Jordan si fa portare una pizza in camera, ma qualcosa gli provoca una forte influenza intestinale che mette a fortissimo rischio la sua presenza alla partita: quel giorno non riesce letteralmente a muoversi. Nonostante questo MJ si presenta in spogliatoio insieme ai compagni perchè vuole giocare. Non si limiterà a giocare, dominerà letteralmente: 38 punti segnati e vittoria per i suoi Bulls, passerà alla storia come “flu game”. I Bulls vinceranno poi anche la successiva partita , stavolta tra le mura amiche, conquistando il quinto titolo, con Jordan che vincerà il quinto Finals MVP.
L’ultimo titolo
Diventano 10 i titoli di miglior marcatore e 5 quelli di MVP per Michael Jordan nella stagione 1997-98. I Bulls hanno il miglior record della lega (insieme ai Jazz) e Jordan è semplicemente devastante: nel 3-0 ai Nets viaggia oltre i 36 punti di media, nel 4-1 sugli Hornets va 3 volte sopra quota 30 punti, poi altre 4 volte, con l’acuto da 41 in gara 2 nel 4-3 rifilato ai Pacers di Reggie Miller, che vale l’accesso alle Finals, gli avversari? Ancora i Jazz in cerca di vendetta.
Sulle sponde del lago salato sono proprio i Jazz a prendersi gara 1, ma 37 punti di Jordan permettono ai Bulls di ribaltare il fattore campo (ottenuto grazie agli scontri diretti favorevoli ) prima delle 3 partite a Chicago. La prima sfida allo United Center è senza storia: i Bulls vincono 96-54, si tratta del più grande distacco nella storia delle Finals. Gara 4 è un po’ più combattuta, ma vincono ancora i Bulls 86-82 con 34 di MJ; saranno invece i 39 di Karl Malone a regalare ai Jazz gara 5 e la possibilità di andare a giocare le 2 successive sfide in casa, seppur in svantaggio per 3-2.
The Last Shot
Si torna quindi a Salt Lake City, con una gara 6 che sembra diretta da Alfred Hitchcock: 48 minuti al cardiopalma. Un continuo botta e risposta tra Bulls e Jazz in una partita senza padrone. Arriviamo quindi a 41 secondi dalla sirena, sull’83 pari rotto da una tripla di John Stockton. Phil Jackson chiama il timeout e sulla successiva rimessa è ovviamente Michael Jordan con un layup a trovare il canestro. I Jazz riprendono il gioco con Stockton che passa la metà campo, affidando poi la palla in post basso a Karl Malone, sul quale arriva un grandissimi raddoppio di Jordan che gli porta via il pallone.
Mancano 15 secondi, MJ supera la metà campo e si ferma sulla linea del tiro da 3 punti lasciando passare qualche secondo, dopodichè decide di attaccare Byron Russell, ma arrivato all’altezza del tiro libero anziché andare in penetrazione finta, si arresta e lascia partire il tiro, che ovviamente schiaffeggia la retina portando i Bulls avanti 87-86 con 5 secondi da giocare. I Jazz, con Stockton, non riusciranno a trovare il canestro della vittoria. È l’ultimo tiro della carriera di Michael Jordan, è il più iconico, è semplicemente “The Last Shot”. I Bulls sono campioni NBA per la sesta volta e sei sono anche i titoli di MVP delle finali per MJ.
Il ritiro e la parentesi agli Wizards
All’inizio della stagione 1998-99 Jordan annuncia, nuovamente, il proprio ritiro dalla pallacanestro, dicendo che si dedicherà alla gestione dei Washington Wizards, squadra di cui nel frattempo è diventato proprietario.
Il 25 Settembre del 2001 però, a 38 anni, Jordan cambia idea tornando a giocare, proprio con gli Washington Wizards. Questa parentesi durerà per le 2 successive stagioni, nelle quali Jordan diventerà prima il più anziano a segnare 40 punti, il 29 dicembre del 2001 contro gli Charlotte Hornets (furono 51) e ripetendosi 2 giorni dopo segnandone 45 contro i Nets. Proprio ai Nets ne segnerà 43 il 21 Febbraio 2003, diventando l’unico giocatore sopra i 40 anni a segnare 40 punti in una partita.
Iconico sarà anche l’All Star Game del 2003, con il tributo riservato ad MJ nell’intervallo, ma con il fade away di Kobe Bryant a portare la partita al supplementare, dove poi vincerà il team Ovest per 155-145.
Proprio al termine della stagione 2002-2003 Jordan dirà, questa volta definitivamente, addio alla pallacanestro dopo un farewell tour lungo tutta la stagione.
L’eredità
Michael Jordan lascia la NBA con una media di 30.12 punti a partita, la più alta di sempre; vantando inoltre il record di MVP delle finals (6) e di titoli di miglior marcatore (10, di cui 7 consecutivi), oltre alla miglior prestazione di sempre ai playoff con quei 63 punti segnati al Boston Garden.
Non servono ulteriori parole per raccontare cosa Michael Jordan abbia rappresentato per la NBA, ne è semplicemente stato l’immagine per 2 decenni, quei 2 decenni che, sotto la sapiente guida di David Stern, divenuto commissioner proprio nel 1984, anno in cui MJ sbarcò nella lega, hanno portato la NBA ad essere la lega famosa a livello planetario che oggi noi tutti apprezziamo.
Ecco perchè quando sin chiede a chi non segue la pallacanestro se sappia chi siano anche grandi campioni del calibro dei già citati John Stockton e Karl Malone, oppure Tim Duncan e Hakeem Olajuwon, giocatori che comunque rientrano tra i migliori interpreti dei rispettivi ruoli, ma anche di questo sport in generale, probabilmente non riceverai nessuna risposta. Ma provate a chiedere se conoscono Michael Jordan. Ecco, è proprio qui che si distinguono i grandi giocatori dal più grande di tutti.